giovedì 25 dicembre 2014

Natale del 1914: fratelli di trincea


«Domani Ghenerale. Domani noi spara. Pum! Pum!» e mio nonno imbracciava un invisibile moschetto e prendeva la mira, pronto a sparare.
Era l'avvertimento, ci raccontava in uno di quegli interminabili pranzi di Natale di quando ero bambino, che veniva gridato da un anonimo soldato austriaco che stava nella trincea di fronte, a pochi metri di distanza dagli Italiani: il giorno dopo ci sarebbe stato, in visita d'ispezione, un qualche superiore e gli Austriaci avrebbero sparato forsennatamente contro le trincee italiane; il soldato, a nome dei suoi commilitoni, avvertiva e si scusava per quello che sarebbe successo!
Raccontava ancora mio nonno che spesso, la sera, Austriaci e Italiani si ritrovavano nella 'terra di nessuno' a fumare, a scambiarsi qualche piccolo oggetto, addirittura a ballare tra loro intorno a un falò acceso per riscaldarsi.
Io lo ascoltavo con meraviglia, non sapevo cosa fosse una guerra, lui non parlava di scontri, di freddo, di fame, di morti; era un momento di festa: era insieme al figlio, ai nipoti, mangiava e beveva di gusto e certo quegli anni passati in trincea mezzo secolo prima, sul Carso, sembravano così lontani a quel piccolo vecchio contadino toscano.

Dovevano risalire, quei ricordi, al primo anno di guerra; sul fronte occidentale, in Francia, questi episodi si erano ripetuti con una certa frequenza, tra Francesi, Inglesi e Tedeschi, ma fino a pochi anni fa sono stati tenuti nascosti: era da vigliacchi e traditori della patria fraternizzare col nemico, qualunque fosse la Patria e chiunque fosse il Nemico.
Dopo che l'avanzata tedesca per invadere la Francia fu bloccata, con la battaglia della Marna, e le truppe tedesche si furono ritirate sino alla valle dell'Aisne, e dopo la sanguinosa prima battaglia di Ypres, Francesi, Inglesi e Tedeschi si trovarono a combattere una strana guerra, una guerra che è stata chiamata "d'assedio", dove i soldati vivevano e combattevano in trincee poco profonde, al freddo, con i piedi in una perenne pozza d'acqua e fango. Non era più una "guerra lampo"; sarebbe stata una guerra di posizione, uno stillicidio di vite umane, dopo le carneficine degli scontri diretti.
Da pochi mesi al fronte, la baldanza delle truppe era, qua e là, rapidamente venuta meno e diversi episodi di fraternizzazione si verificarono tra Francesi, Inglesi e Russi da una parte, Tedeschi, Austriaci e Ungheresi dall'altra. Ne parlano, con dovizia di particolari, i saggi raccolti in: Meetings in No-Man's land, editi dallo storico francese Marc Ferro.


Memorabile e commovente fu lo spontaneo armistizio di Natale, tra alcuni gruppi di belligeranti, che fece seguito a episodi che si erano svolti, un po' ovunque, nel novembre del 1914. Quel po' di umanità, di vera fratellanza, quella voglia di riconoscere nell'altro un proprio simile e non uno sconosciuto e un nemico, sarebbero scomparse in pochi decenni: non se ne sarebbe parlato più già a 30 anni di distanza, durante il secondo conflitto mondiale.
Oggi, poi! Il mio vicino di casa è il mio peggior nemico...

La tregua di Natale su Wikipedia, QUI e QUI.
Un articolo in merito QUI sul Corriere della Sera.


Per non dimenticare la Grande Guerra.


mercoledì 24 dicembre 2014

Un racconto di Natale


Da Scrivolo, un sito di scrittura a cui per anni ho contribuito con alcuni amici, un edificante raccontino: Dialogo di Natale, di errebi.

 Il testo  è  stata  rilasciata  sotto  la  licenza  Creative  Commons  Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate.



Dialogo di Natale

“Guarda chi si rivede!”
“Ti avevamo dato per disperso… torni dalla tundra?”
“Però non te la sei passata male, sembri lo stesso di trent’anni fa!”
“Bello sforzo, con l’anima di ferro che si ritrova!”
“Beh, amici, vedo che non siete cambiati neanche voi… i soliti burloni… però qualcuno della vecchia compagnia manca, o mi sbaglio?”
“Hai ragione, purtroppo. Ma perché guastare questa bella occasione parlando di chi è finito nella spazzatura… tutto passa… neanche noi che non siamo vivi possiamo aspirare all’eternità.”
“Però passiamo di generazione in generazione, se ci trattano con un po’ di garbo.”
“L’Arrotino ha ragione - disse il Cammello - dipende da come veniamo conservati. Io lo posso ben dire perché sono il più anziano, ricordo ancora il Natale del 1946…”
“Risparmiaci la tua storia - lo interruppe il Puntale - la sappiamo tutti!”
“Magari l’Albero finto, dopo trent’anni, non la ricorda più - proseguì imperturbabile il Cammello – dunque, ero esposto nella vetrina di una cartoleria nel vicolo della Stufa e il bisnonno dei nostri ospiti entrò per comprare le statuine del presepe: voleva fare una sorpresa ai figli. Un bel regalo perché, nel dopoguerra, giravano pochi quattrini e quelli che c’erano servivano per mangiare e risuolare le scarpe. Il negoziante era un uomo generoso e mi diede in omaggio, con tre pecore. E sono ancora qui!”
“Sfido che ti tengono di conto! ormai sei un pezzo d’antiquariato: gesso dipinto a mano! - disse il Puntale - i miei predecessori di vetro erano altrettanto preziosi ma delicati e hanno avuto vita breve. Per fortuna io sono infrangibile!”
“Però anche le palle di plastica campano poco - disse la Pigna di vetro, polemizzando con il Puntale - dopo un po’ diventano opache, ammaccate, stinte e vengono gettate via mentre noi decori di vetro, se riusciamo a invecchiare, sembriamo sempre più belli.”
“Già, però i superstiti della vostra razza si contano sulle dita di una mano” canticchiò la Sfera carillon con la neve, accennando qualche nota del motivetto “Jingle Bells”. Era di vetro e di plastica, poteva permettersi di criticare chi voleva.
“Anch’io sono sintetico e destinato a durare - disse l’Albero finto - ma per trent’anni mi hanno lasciato in cantina, a prendere la polvere… com’è che sono tornato di moda?”
“Davvero non lo sai? - chiese stupito il Puntale - per tutto questo tempo i nostri ospiti hanno festeggiato Natale come sempre però, al tuo posto, mettevano alberi veri.”
“Ginepri?”
“Ma che ginepri! Abeti, abeti grandi e piccoli” rispose la Pigna di vetro.
“Vivi?” domandò incredulo l’Albero finto.
“Vivi e vegeti, persino con le radici… dentro un vaso. Però campavano poco anche loro: il sette gennaio finivano fuori, sul terrazzo, a crepare sotto la canicola o direttamente nella spazzatura.”
“Che spreco!” commentò l’Albero finto, dispiaciuto per il triste destino dei suoi fratelli nobili.
“Quanto allo spreco - disse San Giuseppe - ne abbiamo viste di tutti i colori, in questi tre decenni: spese da nababbi per gli adulti e giocattoli che costano un occhio della testa per i bambini.”
“Ai miei tempi non accadeva - osservò l’Angioletto di gesso che annunciava la Buona Novella ai pastori - io sono più giovane del Cammello ma mi ricordo ancora quando si ruppe l’ultimo dei re Magi del 1946, Melchiorre…”
“Baldassarre - precisò il Cammello - poverino… andò in mille pezzi nel Natale del 1963.”
“Erano gli anni del Boom - mormorò con un filo di voce una libellula fatta di perline di vetro infilate su uno scheletro di metallo - ci sentivamo ricchi anche senza spendere e spandere: mi ricordo che la famiglia aveva appena comprato la macchina, una Seicento, e la signora Armanda regalò al marito guanti di pelle per guidare: fece scalpore tra i parenti perché era una cosa assolutamente superflua.”
“Una vera chicca! - osservò ironico l’Angioletto - in linea con il nuovo spirito del Natale.”
“Hai qualcosa da ridire? - chiese il Puntale - per caso sei contrario al consumismo natalizio? Sarebbe come sputare nel piatto dove si mangia.”
“Noi della capanna ci saremmo lo stesso! - obiettò San Giuseppe - mai sentito parlare di Greccio e San Francesco?”
“Via, non litigate per queste sciocchezze! Non stavamo festeggiando il ritorno dell’Albero finto?” esclamò il Bue. La sua voce, cavernosa ma bonaria, sovrastò tutte le altre.
“Un urrah! per l’albero finto” ragliò l’Asinello, sempre pronto a spalleggiare il suo compagno di stalla.
Tutti gridarono Urrah! e chi aveva mani applaudì calorosamente.
“Comunque non si possono mettere sullo stesso piano il presepe e l’albero - incalzò l’Angioletto, abituato a sostenere le proprie idee a oltranza - l’abete è un simbolo pagano mentre noi rappresentiamo la nascita del Bambinello, senza contare che io sto appeso a questa palma per annunciare la venuta del Redentore in primis ai poveri pastori.”
“Ora ci mettiamo pure a parlare di politica - esclamò la Pigna di vetro - possiamo fare conversazione tra noi solo la notte di Natale e perdiamo tempo a discutere di giustizia sociale e automobili!”
“Ma insomma - chiese innervosito l’Albero finto - qualcuno vuole spiegarmi perché trent’anni fa mi hanno buttato fuori e ora sono di nuovo qui?”
“Non hai ancora capito! Ho sentito dire che gli alberi non sono tanto svegli ma tu riesci a stupirmi… - rispose il Cammello - l’abete vivo profuma di ragia, è naturale, fa atmosfera, tu invece sei kitsch!”
“Cosa sono?”
“Kitsch! Pacchiano, cafone, micragnoso” strillò il Puntale che, a forza di stare in alto, si sentiva superiore agli altri.
“E’ uno sprovveduto, bisogna illuminarlo - commentò ironica la Pigna - lasciamo che l’Angioletto lo indottrini!”
“Basta!” gridò una voce che sembrava uscire da un altoparlante.
Tutti si zittirono: il Bambinello parlava di rado ma, quando interveniva nelle conversazioni, si faceva rispettare e nessuno osava contraddirlo.
“Non vi vergognate di ciarlare così? - proseguì il Bambinello, rompendo il silenzio - sono un neonato addormentato in una mangiatoia però ci sento benissimo. Il povero Albero finto è all’oscuro di quello che è successo negli ultimi trenta natali e voi, invece di aiutarlo, vi beccate come galline!”
“Quante storie, anche tu sei una statuina di questo teatro” disse il Centurione che faceva la sentinella alla porta di Betlemme.
“Stai zitto, idolatra - lo rimbeccò l’Angioletto - ricordati che il mio Galileo, alla fine, ha sconfitto il tuo imperatore!”
“Lascia perdere, il Centurione è un romano - rombò il Bambinello - ha diritto di pensare quello che vuole. Io posso sembrare una statuetta come le altre, anzi sono la più piccola di tutte, però qui si rappresenta la mia nascita: chi crede, guardando il presepe, è felice. Anche gli altri, comunque, hanno diritto di festeggiare il 25 dicembre accendendo le lucine colorate dell’abete… ci mancherebbe altro! per i pagani era il giorno della rinascita del sole e, quanto all’albero addobbato, gli abitanti del Nord onoravano così gli spiriti della foresta.”
“Giusto - brontolò il bue - non si poteva dire meglio!”
“Anch’io conosco la storia del Natale - disse l’Albero - il presepe è sempre esistito mentre noi alberi veniamo dall’estero e siamo arrivati negli anni cinquanta. Le signore ci amavano perché eravamo allegri, moderni e non sporcavamo come il muschio. Anch’io piacevo alla signora Armanda, mi puliva con l’aspirapolvere, prima di ripormi nella scatola… il 7 gennaio. Poi, a quanto dite, sono venuti di moda gli abeti vivi e, fin qui, tutto è chiaro, solo non capisco perché quest’anno hanno messo a soqquadro la cantina per trovarmi e rimettermi al posto d’onore in salotto.”
“Povera signora Armanda - sospirò l’Angioletto - è morta vent’anni fa. Ora qui abitano il nipote Stefano con la moglie e due bambini.”
“Mi dispiace - mormorò l’Albero finto - ma la notizia non mi stupisce: era già anziana quando mi comprò, il mio predecessore era davvero malconcio e fu messo a decorare il terrazzo, coperto di fili d’oro per nascondere i rametti scheletriti.”
“Una donna all’antica che non amava sprecare” commendò l’Angioletto.
“Dici bene - aggiunse la Pigna -la signora Armanda incartava le palle di vetro con i fogli di giornale, una per una, così non rischiavamo di romperci. La nuora invece buttava tutto alla rinfusa nella scatola degli addobbi… oltre a me, sono rimasti interi solo la Libellula e il Funghetto. L’Uccellino con la molla e la coda di piume è vivo ma malconcio.”
“Non ho più la coda però canto come prima” gorgheggiò il variopinto volatile.
“La nuora della signora Armanda rompeva apposta il vecchio per comprare il nuovo - disse il Puntale - decorazioni bizzarre tutte blu, tutte rosse oppure tutte argentate.”
“La moglie del nipote non si comporta diversamente” rincarò la Pigna.
“E i bambini! Quelli di oggi sono Unni!” aggiunse il Cammello.
“Insomma, volete dirmi perché quest’anno al mio posto non c’è un abete vivo?” chiese spazientito l’Albero finto.
Pastori e addobbi si chiusero in un silenzio imbarazzato. La Sfera con la neve suonava qualche nota del suo motivetto, l’Angioletto canticchiava “Adeste fideles” mentre l’Asino e il Bue improvvisamente avevano un gran bisogno di leccarsi in ogni angolo.
“Dopo la morte della signora Armanda in questa casa la vita è cambiata - disse San Giuseppe: parlava con una certa reticenza, come se il senso del dovere lo costringesse a rispondere - il figlio e la nuora guadagnavano bene e poteva levarsi molti sfizi: riempivano il loro Stefano di regali.”
“Stefanino, che birba: - lo interruppe l’Albero finto - al tempo del mio ultimo servizio di Natale aveva quattro o cinque anni e l’argento vivo addosso… ricordo che i genitori gli regalarono una pista di macchinine e una bicicletta con le rotelle.La signora Armanda invece aveva comprato per il nipotino un cappotto ma la nuora non gradì il dono: ai bambino, secondo lei, non si dovevano regalare cose utili. I vestiti li compravano i genitori… non era una pezzente, anche se viveva in casa della suocera!”
“Da allora a Stefanino i regali inutili non sono mai mancati e neanche ai suoi figli” commentò l’Angioletto.
“Fu la nuora della signora Armanda a relegarmi in cantina?”chiese l’Albero.
“Già, proprio lei - rispose l’Asinello - e la nuora della nuora è persino peggiore: ha tenuto anche noi nella scatola, per tre anni.” Un coro di disapprovazione sanzionò il comportamento della moglie di Stefano.
“Dovevi vedere cosa mettevano sotto quei poveri abeti mezzi morti - disse il Puntale - gioielli, orologi, televisori, telefonini, computer, cose che neanche si sa cosa sono.”
“E allora? non ne posso più delle vostre divagazioni!” esclamò l’Albero finto.
“Per farla corta, Stefanino è cresciuto, ha preso moglie e in casa sono entrati due nuovi bambini - disse la Sfera con la neve - la famiglia ha sempre fatto l’albero di Natale…”
“A parte quando sono andati in vacanza ai Tropici” aggiunse l’Angioletto.
“Tranne quella volta… però quest’anno è successo qualcosa: ai bambini piace rovesciarmi per sentire la musica e così mi lasciano in giro per la casa… anche nella camera dei genitori… quindici giorni fa ero proprio lì e ho sentito la moglie di Stefanino che si lamentava con il marito… diceva di non voler spendere un soldo per l’abete, che non avrebbe fatto regali di Natale perché non c’era nulla da festeggiare.”
“E Stefanino cosa ha risposto?” chiese l’Albero.
“Niente, non ha aperto bocca, però è sceso in cantina a cercarti”
“E poi?”
“Ti ha montato in salotto, con l’aiuto dei bambini. Terminato quel lavoro, si è messo d’impegno a fare il presepe, come quando era ragazzino.”
“Tutto qui?” chiese l’Albero finto.
“Ti sembra poco? Una mamma che non vuole festeggiare il Natale dei suoi due bambini! - esclamò scandalizzato il Cammello - ma che razza di albero sei? hai il cuore di un cactus!”
“Non ti scaldare, alla fine tutto è andato a posto, no?! - si difese l’Albero finto - i piccoli hanno avuto i loro decori natalizi e anche i regali, qui sotto vedo dei pacchi infiocchettati.”
“Si, quattro regali avvolti nella carta colorata alla meno peggio, non vengono certo da un negozio” osservò fiocamente la Libellula.
“Zitti, sento dei rumori - disse il Puntale - è quasi mezzanotte, stanno venendo… tutti ai posti di combattimento!”
Qualcuno entrò nella stanza e accesela luce. L’Albero riconobbe subito l’intruso: era Stefanino ma quanto diverso dal bimbetto che ricordava in collo alla nonna Armanda.
Stefano posò a terra tre pacchetti, poi accese le luci intermittenti e il lumino dietrola capanna. Ferma sulla soglia, una giovane donna in vestaglia lo osservava. Di sicuro la moglie.
“Non ti rassegni, vero?” disse la donna.
“Chiara e Armando devono avere il loro Natale, tutta la famiglia deve averlo” rispose il marito seccamente.
“Avevamo deciso di regalare solo le due macchinine telecomandate - replicò con tono di disapprovazione la moglie - ma, al solito, hai fatto di testa tua. Si vede che avevi soldi da buttare.”
“Sbagli a rimproverarmi, Carla - esclamò Stefano - non ho speso nulla… sono regali dello zio Francesco che non mi piacevano... li avevo messi in cantina vent’anni fa, senza neanche aprirli, e sono saltati fuori per caso, cercando l’albero finto della nonna Armanda. Nuovi di trinca!”
“Zitto.. si sono svegliati… - mormorò Carla - presto, apri la finestra, io spengo la luce.”
Dopo qualche secondo due bambini in pigiama irruppero nel salotto gridando “Babbo Natale, Babbo Natale!”
“Troppo tardi! - disse il padre - è già scappato via, dalla finestra: fuori lo aspettavano le renne.”
“Non ha potuto vuotare tutta la gerla - aggiunse la mamma - perché andava di fretta, doveva raggiungere l’Africa.”
I bambini si precipitarono sotto l’albero facendo tremare le decorazioni: la Pigna si afferrò con tutte le forze al rametto di ferro e plastica, la Libellula svolazzò per tenersi in equilibrio mentre il Puntale, ondeggiando, emise strani rumori, come se fosse sul punto di dare di stomaco.
I piccoli strapparono la carta dei loro pacchetti, curiosi di vedere il contenuto: due macchinine, una rossa e una nera, una scatola di Monopoli, un puzzle raffigurante il castello da favola del re Ludwig e una raccolta di giochi da tavolo… dama, scacchi, giro dell’oca, tombola.
Poi corsero nel corridoio per provare le automobiline e sfidarsi in una gara di velocità.
Anche i genitori aprirono i loro regali: una pashmina con berretto per lei, guanti e sciarpa di lana per lui.
“Almeno staremo al caldo” commentò Carla.
“Che ne dici, facciamo una tombolata per l’ultimo dell’anno, tutti insieme?” propose Stefano, inginocchiandosi di fronte all’albero.
“Chiamalo Bingo, sembra più moderno” suggerì Carla.
Stefano aprì la scatola con l’immagine del castello e, con la mano, frugò tra le tessere.
“E’ strano - mormorò sovrappensiero - da ragazzo detestavo i puzzle, perdere tempo per mettere insieme cinquemila pezzi mi sembrava una follia, e ora ho voglia di farne uno, per occupare la giornata!”
“Non ti scoraggiare - disse la moglie, posando affettuosamente una mano sulla spalla del marito - presto troverai un altro lavoro e tutto tornerà come prima.”

errebi

venerdì 19 dicembre 2014

Un governo difettoso


[...] non c'è nè c'è stato nè sarà mai popolo, nè forse individuo, a cui non derivino inconvenienti, incomodi, infelicità (e non poche nè leggere) dalla natura e dai difetti intrinseci e ingeniti del suo governo, qualunque sia stato, o sia, o possa essere. (22-29. Gen. 1821)

G. Leopardi, Zibaldone di pensieri [1817-1832]. Online su Wikisource.
[Via: Libriaco]

domenica 7 dicembre 2014

Il latino della domenica - 93


Non bisogna ignorare quei dettagli, apparentemente piccoli, 
senza i quali non possono esistere le cose grandi.
[San Girolamo]

giovedì 4 dicembre 2014

Er magna magna

La Politica

Ner modo de pensà c’è un gran divario:
mi’ padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so’ monarchico, ar contrario
de Ludovico ch’è repubblicano.

Prima de cena liticamo spesso
pè via de ’sti princìpi benedetti:
chi vo’ qua, chi vo’ là... Pare un congresso!

Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma
ce dice che so’ cotti li spaghetti
semo tutti d’accordo ner programma.

Trilussa (1871-1950)


4 Dicembre 2014 - Santa Barbara

Santa Barbara


Due minatori spingono un carrello nella miniera di pirite di Gavorrano (GR) (18/02/1969).

[Via: LombardiaBeniCulturali.]

domenica 30 novembre 2014

Il latino della domenica - 92

Le scritte rimangono

Nonostante le mie segnalazioni, di Agosto e di Ottobre, i graffiti che imbrattano il muro della Piazza della Costituzione, l'unica e centrale del quartiere di San Miniato a Siena, sono ancora lì.

Accanto a impalcature abbandonate da mesi, di rifacimenti di recentissimi edifici; di fronte ad una struttura nuovissima di alloggi minimi, abbandonata da anni; in una zona circondata, da sempre, con transenne; prospicente una passerella tra edifici, abbattuta da un camion anni fa e mai ripristinata, questo bel disegnino è l'emblema tangibile e visibile a tutti di quanto poco interessi il degrado della città. Lo si potrebbe, senza gare né costo alcuno, scegliere come logo di Siena Capitale Italiana della Cultura...

Sì, è Siena.

domenica 23 novembre 2014

lunedì 17 novembre 2014

Il latino della domenica - Avviso

A causa di un improvviso ricovero presso l'Unità 'Osservazione Breve Intensiva' del Pronto Soccorso dell'Ospedale "Le Scotte" di Siena, il dr. Iccapot non pubblicherà oggi il consueto disegnino con un motto latino.

Vita brevis...

[La vita  è breve]

venerdì 7 novembre 2014

Siena: la lunga marcia

- Durante la marcia abbiamo incontrato il nemico...
- Già, e il nemico siamo noi!

[Dalla battuta di Pogo in una 'striscia' di Walt Kelly (1971): "We have met the enemy and he is us."]

#staisereno


martedì 4 novembre 2014

4 Novembre 2014

Un'immagine insolita, per ricordare questa data: sono i saluti affettuosi che una sorella manda al fratello che di lì a poco sarebbe tornato a casa dalla guerra; la data è infatti quella del 17 aprile 1918.

La gioia della famiglia sarebbe però durata poco: il ragazzo di lì a qualche mese morì di 'febbre spagnola'.



[Cartolina di una sorella di mio nonno materno al loro fratello granatiere]


Per non dimenticare la Grande Guerra.


Siena: qualcosa di sinistra


Ne parlereranno con:
Giovanni Orlandini
Professore di Diritto del Lavoro presso l'Università degli Studi di Siena

Sono stati invitati a esprimere il loro punto di vista dirigenti ed RSU aziendali di sindacati
confederali e di base e realtà giovanili impegnate sul tema della precarietà.

Maggiori informazioni: sienapertsipras.

 [via: PecoreNere]

lunedì 3 novembre 2014

domenica 2 novembre 2014

sabato 25 ottobre 2014

Cultur@



L'ammirazione per la cultura [...] sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa.

U. Eco, Diario Minimo, Milano, Mondadori, 1963
[via: libriaco]

mercoledì 22 ottobre 2014

Il sacco di Siena

Ripubblico (con dispiacere) un disegnino, costruito due anni e mezzo fa con pazienti taglia e incolla, che non è certo passato d'attualità.

Per anni e anni, mentre noi dormivamo sonni tranquilli, ...

lunedì 20 ottobre 2014

Siena: oculo per oculo

Non c’è libro tanto cattivo da cui non ci sia qualcosa da imparare, scriveva Seneca, e anche da questo BID BOOK (il dossier di candidatura per Siena capitale europea della cultura 2019) qualcosa da imparare c'è.
Dalla pagina sette (sì, sono sempre fermo lì ma è tanta la ricchezza di contenuti e di informazioni che non riesco a staccarmene) ho imparato che il duomo di Siena (risplendente, eh!), sulla facciata ha un rosone:
In Piazza del Duomo, i magnifici marmi bianchi e neri risplendono al sole, mentre il rosone centrale riflette il cielo blu acceso.
E io che credevo che un rosone fosse uno di quei simmetrici elementi decorativi in pietra, finemente lavorato da valenti scalpellini, posto su un'apertura circolare, e avevo sempre ritenuto che quello del duomo di Siena fosse semplicemente un oculo!


[Immagini da WikiMedia. Un clic per il link all'originale.]

Il duomo di Siena

Il duomo di Orvieto

sabato 18 ottobre 2014

Siena: lo splendido splendore splendente


Sono ancora fermo a pagina sette nella lettura del BID BOOK per Siena Capitale 2019 (di fatto, la prima pagina del testo); ho già segnalato, in un commento al Santo, che il redattore del documento ha confuso (!) la statua del Datini, a Prato, con quella del povero Sallustio Bandini, in Piazza Salimbeni.

Poco oltre un'altra perla (stavolta non di storia o di arte ma di 'stile'):

La piazza risplende ancora dello splendore della sua antica gloria. Di fronte, l'Hotel 5 stelle Continental. Un ragazzo con vestiti eleganti attende accanto alla porta a vetri dell'ingresso l’arrivo di qualche cliente, ma nessuno varca l’entrata di questo lussuoso albergo, che rimane vuoto nel suo splendore.

La mia prof. di lettere (di terza media!) me l'avrebbe contrassegnata con un bel doppio cerchio in rosso, commentando poi: "Da rincorrersi!". Noi invece gli abbiamo dato dei soldi.
Segno che nessuno ha riletto e controllato questo documento oppure...?

Lo so, adesso è facile criticare, è come sparare su un'ambulanza della Croce Rossa; cosa ci posso fare però se non solo l'autista si è fermato ma addirittura ha masochisticamente forato le quattro gomme?

Comunque, è solo la prima pagina: forse leggerò anche la seconda.
 

venerdì 17 ottobre 2014

mercoledì 15 ottobre 2014

Il '14

Le memorie scolastiche sono lontane e imprecise; se volete rinfrescarle e scoprire cosa c'è stato alla base dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, oltre all'attentato mortale a Sarajevo (le tensioni tra Germania e Francia, la Rivoluzione in Russia, le mire del Giappone, il colonialismo europeo in Africa), potete leggere un agile volumetto del prof. Luciano Canfora: 1914, appunto.

Pubblicato da Sellerio nel 2006, è la trascrizione delle puntate radiofoniche sul tema, irradiate, dalle antenne di Radio 2 della RAI, agli inizi del 2004, per la trasmissione "Alle 8 della sera. Il racconto delle cose e dei fatti".
Le Radio Audizioni Italiane hanno online tutte le puntate che si possono riascoltare o scaricare.
Purtroppo i file sono in formato RA, che certo non è più da decenni uno standard [ammesso che lo sia mai stato...] ma in RAI non devono essersene accorti visto che i loro podcast sono tutti di questo tipo; per ascoltarli occorre installare un plug-in.
Nel più accessibile formato MP3 li trovate, episodio per episodio, QUI.
Qualche benemerito volontario ha compresso l'intero ciclo di trasmissioni in un comodo file unico che potete scaricare ad esempio da QUI, l'elencone di mariu.

Per non dimenticare la Grande Guerra.